Ecco cosa è successo: camminavo per via del corso, per recarmi come sempre dal mio amico fraterno Stefano detto “Armaduc”. Nelle scadenze importanti, giugno è una di queste, mi ha sempre aiutato a compilare tutte quelle scartoffie fiscali: 730, UNICO, ICI, etc. per le quali non ho mai avuto grande predilezione di simpatia.
Faceva caldo, la gente era tanta che mi affogavo nel disperato tentativo di evitarla, per non andargli addosso. E’ strano: quando hai una fretta terribile, t’inventi abile sciatore da marciapiede con le scarpe al posto degli sci. Anche se i marciapiedi della mia città non sono bianchi come la pallida neve bianca. Però il coefficiente di scivolamento è uguale!
D’improvviso, mi fermo. Nel mio affannarmi per arrivare puntuale all’appuntamento, mi inchiodo. Fermo lo scorrere delle mie gambe, una dopo l’altra. Piedi uniti. Stop!
Qualcuna delle persone che mi seguiva, mi è venuta addosso, perché non ha potuto evitarmi. Quelle un po’ più dietro, hanno capito, ed aggirato l’improvviso ostacolo. Quelle a me avanti, mi hanno guardato come se avessero visto un fantasma imbalsamato, proveniente da un altro universo.
Ma niente, resto fermo; immobile. Ed ascolto le loro maledizioni.
Niente. Non mi muovo. Sono marmo.
Dopo un po’, per uno strano fenomeno fisico, sé è formato un alone di spazio, intorno a me. Un cuscinetto invisibile tra me e la folla oceanica di un venerdì pomeriggio di giugno. Un metro e mezzo di distanza di sicurezza.
E poi inizio a guardarmi intorno. Guardo le persone frettolose e maledicenti, le vetrine, le macchine ed i motorini che scorrono in strada; le bancarelle povere dei cinesi e quelle assai più scarne degli extra-comunitari ed i poliziotti, che fanno il loro dovere di sgombero. I cagnolini delle signore, lo zucchero filato dei bambini, le mani nelle mani degli adolescenti innamorati. Guardo le collane “ricche e perbeniste”, i capelli rasati freschi dei militari, ed i cellulari dei passanti. Guardo le finestre dei palazzi, i portoni aperti dei palazzi, e tutti gli angoli e le mura grigie dei palazzi.
Alzo la testo. E sulla mia testa una striscia di cielo limpido e azzurro chiaro, come solo all’inizio del tramonto si può ammirare.
Respiro. Un lungo respiro. Una, due, tre volte …e mi chiedo: “…ma che ci faccio io qui?”
Omaggio alla voce di Jack Folla (alias Diego Cugia)
05 luglio, 2006
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8 commenti:
jack folla lo seguivo anni fa alla radio, le sue parole erano pungenti e così vere che era impossibile perderlo...
e poi... che ci faccio io qui... me lo chiedo spesso.
un bacio clopin
viola21
perchè dice zero commenti se io ho commentato????
viola21
Grazie viola. Si è vero, le sue paroli erano chiodi roventi...
...hai fatto il refresh?
Baci
Clopin
refresh??? perchè mi dici le parolacce?! :D
viola21
C71: io me lo chiedo anche se non sono in mezzo alla folla,
me lo chiedo al lavoro, a casa, in macchina... me lo chiedo continuamente...
"non è questo il migliore dei possibili mondi per me "
Kayzer
Viola non ti dico mica parolacce...è lo slang, l'idioma!
Kayzer, beh, me lo chiedo anch'io...ma se leggi il mio ultimo commento al tuo post, capirai.
C71
è il "guardare" la chiave. Ti blocchi, e guardi, osservi. E scopri cose di cui prima non ti accorgevi, o non volevi...
Quando si va di corsa, non si guarda. E se si guarda, si pensa, e ti accorgi che forse questo non è il migliore dei mondi...
Ciao Clopin!
Già per questo la maggior parte delle persone corre, per non guardare, per non pensare, per non sapere che questo non è il migliore dei mondi...era proprio questo che volevo dire!
Grazie andy.med per essermi venuto a trovare.
Clopin
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