28 giugno, 2006

Il mio guscio

Badate profeti, la vita degli inganni
è spirata altrove, lontana palmi e palmi
dal centro delle città.
Mondi sommersi di sabbie fini,
di monete coralline, di arabi mercenari
ricattati dagli infanti degli inferi.
I Lucani guardano alla Luna,
volti alle giostre mietitrici, rapide e fluenti.
Di fobie felici e strazi incantatori e muti,
è piena la vostra religione e la nostra fede.
Cieco come mostro marino anziano e grottesco,
infilo, lento, le perle dei sogni,
nei sogni miei di abusato adescatore di parole;
lungi il rispetto per il suo mestiere,
profonda è la riconoscenza
per chi non riesce a perdersi in esso.
Con le sacche ripiene del vomito
di uccelli birbanti e poco poco santi,
retorici nel loro dialogare e
caini nel loro dolore, stanca di duettare
si mostra l'orrida fata ospite di bui cimiteri
e improvvisatrice di loschi appuntamenti
con lo scritto del destino.
Onore al re e onore al suo signore imperatore.
Quel fetore di schiave del suo corpo,
fanno omaggio ad un passante con il soldo tintellante,
di forza tracimò quella gatta sorniona
all'impeto del suo cavallo.
Non respira, non brandisca arma che sia incolta
o anche lieve imperfezione del suo animo imperscrutabile;
in esso c'è il suggerimento del trovatore e del trovato
o dell'orfano, come si preferisce,
e una immonda e blanda scena goliardica e
di sodomitica memoria.
Lascia il ventre a riposare
per dieci o venti anni appena
e sfiorire si vedrà la nobiltà di quella compagnona,
non più novizia.
Cruda infamia è aspirare al meglio del meglio degli altri,
l'immoralità scorre in quelle vene:
per quanto tempo ancora, indosserò questo guscio
fatto di carne e di sangue e di cibo;
non per molto, ora io lo so,
rimembrate le ceneri e il mare e il vento
per non ingozzarvi più del mio onore e del mio talento.

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